Il coronavirus ci ha riportati in una dimensione tanto necessaria quanto spiacevole: quella della responsabilità.
E no, non si tratta di responsabilità nel senso più comune del termine: avere un lavoro e svolgerlo seriamente, avere una famiglia e prendersene cura, frequentare l’università e studiare per gli esami; queste cose sono senza dubbio importanti, ma non è questo il punto.
Ciò a cui tutti siamo chiamati è ad avere responsabilità collettiva, a privarci di qualcosa per un bene più alto, ossia la salute del nostro prossimo e – di conseguenza – quella della società tutta. Proprio qui sta il nodo fondamentale: ci viene chiesto di privarci di qualcosa che diamo per scontato – anche comprensibilmente – a tal punto da ritenerlo fondamentale e irrinunciabile, ossia la possibilità di uscire di casa e dedicarci a qualsiasi attività vogliamo, che sia fare aperitivo con gli amici o fare visita ai parenti anziani, andare ad una festa o giocare a calcetto.
È precisamente in momenti come questo che si misurano la fiducia nelle istituzioni, l’unità e i valori di un intero popolo (parola che va di moda), aldilà delle tante parole vuote di cui è fatta la quotidianità del nostro vivere comune. Come occidentali rappresentiamo una società che – pur nelle sue mille contraddizioni – ha un merito enorme, vale a dire quello di essere basata, almeno in linea teorica, sul rispetto dell’altro, sul rispetto dei diritti individuali e collettivi, sul rispetto di un’idea di libertà che è illimitata nella sua forza ma al contempo limitata entro i confini della consapevolezza che la libertà di ognuno finisce dove inizia quella dell’altro.
Pienamente immersi come siamo nell’età dell’individualismo sfrenato e della retorica del capro espiatorio (in cui si tende a identificare “l’altro” come ostile per questo o quell’altro motivo), il COVID-19 viene a ricordarci che ci sono situazioni in cui tutto quel vuoto che riempie le nostre vite cessa di avere la benché minima importanza: si salvano i valori della solidarietà e del senso civico, essenziali in un momento in cui è più chiaro che mai che, con un pizzico di sfortuna, potremmo diventare noi “l’altro” del quale fino al giorno prima ci importava poco.
Lasciamoci – dunque – con una promessa: che faremo del nostro meglio perché da questo brutto momento per il nostro Paese possa perlomeno uscire una dimostrazione di forza, unione e civiltà, affinché non siamo popolo solo quando c’è da prendere di mira qualcuno, ma tanto di più quando c’è qualcuno da tutelare.