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PARCO DELLA PACE: LA SFIDA PARTECIPATIVA

In questi giorni in città, 15 anni dopo i fatti e le grandi manifestazioni contro il nuovo insediamento USA all’aeroporto civile Dal Molin, si sono alternati ricordi, commenti, anche molte polemiche e vari distinguo.
Ho letto di tutto, da Prodi ai politici di destra e sinistra, ex sindaci e attivisti vicentini.
Cosa rimane di quella stagione? Rimane molto, anche se la sfida è stata persa.Ne è rimasta traccia sia ideale, che concreta, e mi riferisco nello specifico al Parco della Pace.
La presa di coscienza collettiva sulla nuova base ha creato un interesse democratico a detta di molti senza precedenti in città: molti hanno respirato quanto pesa accettare di stare da una certa parte del mondo e la frustrazione di non poter decidere, non poter disporre, del proprio (fragile) territorio. La sensazione: riferimenti si perdono e ciò che rimane è il potere.
Per molti giovani come me, all’epoca mi accingevo a finire il ciclo di studi superiori, è stata una vera e propria palestra di politica: dibattiti, assemblee, manifestazioni, la sensazione di dover esserci e provare a fermare un progetto imposto e violento sotto molti punti di vista: ambientale, sociale, culturale. Ricordo che in occasione della grande manifestazione con più di centomila persone ci siamo ritrovati per settimane, studenti di scuole diverse, per costruire un grande carrarmato di cartapesta che abbiamo trascinato per la città, con i fiori alla bocca del cannone. Tempi intrisi di idealismo e di riferimenti che ancora non capivamo bene.
Il Parco della Pace quindi è stata una compensazione, insufficiente, ma ricca di cose. Sarà uno dei più grandi parchi urbani d’Europa. L’apertura è ormai imminente, e molti in città l’attendono con ansia, soprattutto di questi tempi, quando gli spazi per restare a contatto con la natura e il bello divengono sempre più rari e indispensabili, e l’aria è letteralmente irrespirabile.
Il progetto di realizzazione va verso la sua conclusione, ma in questi 4 anni di amministrazione Rucco, composta da quelle stesse persone che tanto si sono battute per la base americana, quasi nulla si è discusso circa la sua gestione e partecipazione. Anzi, sia in campagna elettorale che dopo non sono mancate le frecciatine, i distinguo, le più o meno celate critiche via via accantonate ora che ci avviciniamo all’inaugurazione e alla conseguente foto con taglio del nastro.
Nessuna corrispondenza fra progetti di realizzazione e progetti di futura guida del Parco.
È stata annunciata la nuova sede per il COC e per la Protezione Civile, step, fra l’altro, che sono sembrati necessari più a “piantare la propria bandierina” in un progetto in cui non ha mai creduto che a perseguire un cammino di condivisione con la città.
La stella polare che dovrebbe guidare l’Amministrazione è il Protocollo d’Intesa del 7/7/2011, che al punto 2 dell’articolo 5 recita: “Il Comune si impegna a realizzare una nuova infrastruttura pubblica a prevalente vocazione ambientale e ricreativa”
Ambiente e comunità, le due sfide del Parco, che sorge quindi anche con una chiara funzione idrogeologica e con una precisa “mission” sociale.
Cosa ha fatto il Sindaco in questi anni? Cosa succederà una volta terminati i lavori?
Un’area così grande necessita ovviamente un lungo percorso per capire come possa essere vissuta, valorizzata, sorvegliata. In questi anni nulla è stato condiviso con la città, tradendo un obiettivo specifico della riqualificazione dell’area.
Un Parco che dovrà essere vissuto in sinergia con i Comuni contermini, come Caldogno e Costabissara, sono stati coinvolti? Il Sindaco, ricordiamo, è anche Presidente della Provincia.
Un Parco che può essere al centro della candidatura di Vicenza a capitale italiana della cultura. La ricerca delle sementi, delle alberature, il lavoro sull’acqua e il landscape delle nostre montagne che quasi lo “abbracciano”, i resti archeologici ritrovati. Molto c’è da valorizzare, come il nome stesso, portatore di significato e possibile incubatore della “Casa per la Pace”.
Per non parlare della dimensione “eventi”, che tanto manca alla città. Gli hangar e la pista degli eventi ben si prestano a catapultare il Parco in una dimensione non solo provinciale: cosa si sta immaginando? Per non parlare delle opportunità sportive, dall’acqua alle attività naturalistiche, che potrebbero attirare vicentini e turisti.
Abbiamo sempre auspicato che il Parco potesse incontrare privati e associazioni per un progetto sinergico. Una gestione “in house”, probabilmente insostenibile, andrebbe a penalizzare questo meraviglioso progetto come per altre riqualificazioni sul verde già viste in città poi lentamente lasciate a se stesse.
E cosa dire dei recenti Patti di Collaborazione approvati dal Comune? Un aiuto in questo senso può senz’altro venire da singoli, associazioni, gruppi organizzati o spontanei che sarebbero ben lieti di offrire tempo e competenza siglando accordi con il Comune, al servizio di una cabina di regia che però dev’essere chiara e non può essere improvvisata, o di comodo.
Esiste un’altra Politica che il movimento No Dal Molin, con i propri limiti interni, ha incarnato. Così come chi non condivideva quelle istanze: la voglia di interessarsi, esprimersi e vivere la città.
Rucco non la ignori e dia una risposta.

Giovanni Selmo

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